La progressione tecnica nell’addestramento
della Muay Boran
Di Marco De Cesaris
Secondo i vecchi Maestri tailandesi
la Muay Thai è un’Arte di combattimento che mette in grado
i propri adepti di essere efficaci negli scontri con uno o più
avversari utilizzando le armi naturali del corpo umano, dalla testa
ai piedi; nel combattimento si devono sapere usare le braccia per colpire
e per afferrare e lottare, ed ogni parte del corpo viene preparata al
meglio come “strumento” per attaccare e difendersi dalle
aggressioni di qualsiasi tipo, frontalmente, di lato ed alle spalle.
Lo studente serio deve apprendere quali sono i punti deboli del corpo
umano per imparare a raggiungerli con i propri attacchi e deve condizionare
le parti forti del proprio corpo per sfruttarle come scudi difensivi
e come lame, mazze e bastoni per offendere.
E’ per questo che lo studio dell’Arte siamese è chiamato
delle “9 armi” intendendo che la Muay Thai insegna a servirsi
con scientifica efficienza di testa, mani, gomiti, ginocchia e gambe
(le tecniche Chern Muay). Inoltre il vero maestro insegnerà ai
propri allievi come utilizzare anche altre parti del corpo, seppure
in via secondaria: avambracci, anche, spalle e tutte le parti del piede
diverranno a loro volta con una pratica assidua e corretta veri attrezzi
di distruzione.
E’ ovvio che l’apprendimento dell’uso di tante armi
naturali (principali e secondarie) richiede un lungo periodo di pratica
intensa ed ininterrotta durante il quale sarà essenziale combinare
il corretto metodo di uso degli strumenti con il sistema più
efficiente di applicazione dei principi ancestrali del combattimento,
sia per attaccare che, soprattutto, per difendersi. Infatti, in tutte
le scuole tradizionali di Muay Thai era in vigore il principio universale
di sopravvivere agli attacchi salvaguardando la propria incolumità,
per citare un famoso motto latino “primum vivere”! Che si
venga aggrediti con pugni, calci, gomitate, ginocchiate o prese, il
primo obbiettivo del praticante deve essere quello di difendersi efficacemente
con spostamenti, blocchi, schivate o contro colpi, per poi rispondere
con una delle armi naturali in maniera definitiva (Kon Kee).
I primi passi dell’apprendimento della disciplina come è
immaginabile non erano identici nelle varie scuole tradizionali siamesi,
al contrario di quanto avviene in tempi moderni in cui si tende ad una
omologazione delle progressioni tecniche, finalizzata alla necessità
di disporre velocemente di un professionista del ring, pronto a battersi
per mantenere in vita l’indotto economico derivante dagli incontri
professionistici.
Infatti ogni stile ed all’interno delle varie correnti stilistiche
ogni maestro rinomato, avevano approcci alla tecnica che variavano anche
notevolmente gli uni dagli altri.
Ad esempio i pugili dello stile
del Muay Chaiya davano grande enfasi al lavoro difensivo e, conseguentemente,
l’apprendista veniva iniziato nei primi mesi di pratica ad uno
studio dettagliato degli spostamenti evasivi; passi laterali, veloci
cambi di guardia e movimenti a triangolo costituivano la base del lavoro
di un neofita di questo stile per un lungo periodo iniziale. Solo successivamente
si dava spazio al concetto di contrattacco, partendo dai movimenti di
pugno per poi passare ai gomiti e poi via via alle altre armi.
Nel Muay Korat invece, l’impostazione iniziale del praticante
verteva sull’apprendimento di una corretta posizione di guardia
e sullo studio del ritmo dei passi, a fini offensivi e difensivi; i
movimenti tuttora eseguiti nelle Ram Muay (danze guerriere) di questo
stile erano utilizzati per insegnare dall’inizio all’adepto
come relazionarsi con lo spazio circostante riducendo le possibilità
di manovra all’avversario difendendo nel contempo la propria area
vitale. Per far ciò il Korat boxer, così come i praticanti
degli altri stili, trascorreva lunghe ore ad affinare la propria postura
di combattimento, coordinando il lavoro di copertura effettuato da braccia
e gambe con gli spostamenti, questi ultimi effettuati sempre con cambi
di ritmo destinati a sorprendere l’avversario. Proprio riguardo
al ritmo dei movimenti di un combattente tradizionale si deve evidenziare
la grande differenza rispetto al modo di muoversi di un moderno thai
boxer; in tempi remoti i combattimenti venivano disputati senza limiti
di tempo per cui i pugili tendevano a mantenere un ritmo più
lento con spostamenti sinuosi e cadenzati, per poi esplodere improvvisamente
con azioni rapidissime, cercando un repentino fuori combattimento. Ovviamente,
non avendo certezza del risultato dei propri attacchi, in caso di buona
difesa da parte dell’avversario, il combattente ritornava ad un
ritmo lento per conservare le preziose energie necessarie a prolungare
lo scontro.
In ogni momento comunque, una corretta posizione di guardia era necessaria
per garantire nel movimento tecniche difensive efficaci e rapidi contrattacchi:
a tal fine i passi caratteristici dei vari stili tradizionali venivano
continuamente ripetuti abbinandoli a posizioni di guardia che, se paragonate
a quelle di un atleta di Thai Boxing odierno, possono apparire quantomeno
anomale. In realtà tali tecniche meritano tutta la nostra attenzione
ed il nostro rispetto; quando lo scontro era più una lotta per
la sopravvivenza ed una preparazione alla guerra (seppure governata
da ferree norme “cavalleresche” di rispetto per l’avversario)
che una tenzone sportiva, ogni dettaglio di quanto veniva praticato
ed applicato in combattimento dai quei guerrieri ancestrali era il frutto
dell’esperienza di generazioni di combattenti. Ogni singola azione
veniva studiata alla perfezione non per vezzi estetici ma perché
poteva fare la differenza non solo tra vittoria e sconfitta ma anche
tra la vita e la morte.