Nai Khanom Thom: lo spirito indomito della Muay Thai
Di Marco De Cesaris
Il corpo umano adeguatamente
addestrato, animato dallo spirito guerriero che lo fa agire senza paura è paragonabile
ad un’arma: è questo il credo della maggioranza delle
Arti Orientali di combattimento. Le leggende delle tradizioni marziali
di India, Cina, Giappone, Corea e di tutto il Sud Est Asiatico sono
piene di episodi che sfiorano il paranormale in cui l’eroe si
difende da schiere di avversari armati e non, con il solo ausilio dei
propri arti e del proprio coraggio. Colpi devastanti inferti col palmo
della mano, dita dure come l’acciaio che perforano ossa e muscoli,
tallonate che si abbattono come mannaie sulla scatola cranica del malcapitato
cattivo di turno, tutto ciò fa parte di una consolidata tradizione
tramandata per secoli nei circoli delle Arti Marziali estremo orientali.
Nella Muay Thai la figura più emblematica di tali tradizioni,
a metà tra leggenda e storia, è senz’altro il capostipite
di tutti i combattenti adepti di quest’arte, il celebre guerriero
Nai Khanom Thom. La storia della sua vita rappresenta l’archetipo
delle gesta dell’eroe guerriero fedele alla patria ed alla propria
Arte Marziale che, nel momento di massimo sconforto e difficoltà,
riesce a trarre ispirazione dai suoi valori fondamentali per superare
ostacoli apparentemente insormontabili, restituendo la libertà a
se stesso, ai suoi compagni ed indirettamente a tutto il suo popolo.
Fatto prigioniero dei birmani, invasori della sua patria, catturato nel
corso del tremendo sacco dell’antica capitale Ayuddhaya nel 1774,
Nai Khanom Thom venne tratto in prigionia in Birmania (l’odierno
Myanmar) insieme a molti dei suoi commilitoni. Durante una serie di tornei
di lotta in cui i vincitori facevano combattere i prigionieri come gladiatori,
Thom venne notato dal Re birmano Mangra che osservò con piacere
la grande abilità nel combattimento del nostro eroe. Desideroso
di mettere alla prova l’efficacia della forma di lotta siamese
che tante perdite aveva causato tra i conquistatori birmani, il re Mangra
decise di opporre in un combattimento senza armi il migliore tra i prigionieri
tailandesi ad una schiera di gladiatori birmani tra i migliori del suo
esercito. La grande potenza della forma di lotta usata dai thai non poteva
certo essere superiore all’abilità dei migliori guerrieri
della Birmania! A questo punto la storia a la leggenda si confondono:
si narra di un epico scontro a mani nude condotto fino alla morte che
vide di fronte il campione thai e ben 10 sfidanti birmani (secondo altre
fonti 12 o addirittura 13). Di sicuro si sa che lo stile di combattimento
di Nai Khanom Thom era molto vicino a ciò che ancor oggi viene
chiamato Muay Kard Chiek o lotta con le mani bendate con corde: Thom
era abituato ad utilizzare tutte le risorse del proprio essere, sia fisiche
che psichiche per sconfiggere gli avversari. I combattenti di Muay Kard
Chiek dell’epoca erano paragonati a tigri fameliche; ogni azione
offensiva era accettata, pugni, gomitate, ginocchiate, calci, testate,
leve articolari, strangolamenti, proiezioni, perfino i morsi e le “artigliate” alle
parti molli facevano parte di ciò che un gladiatore dell’epoca
utilizzava ed era pronto a contrastare. Con un simile background Nai
Khanom Thom si trovò ad affrontare la sfida più dura di
tutta la sua carriera di lottatore e di soldato: combattere non solo
per la propria vita ma anche per salvare i propri compagni e per riconquistare
la libertà.
Con un tale fardello sulle spalle si racconta che l’eroe thai riuscì nell’impresa
di sconfiggere gli avversari uno dopo l’altro, portando intelligentemente
lo scontro sul piano della mobilità e sulla rapidità d’azione:
i birmani erano infatti molto temuti per la potenza dei loro pugni e
per la loro forza nella lotta corpo a corpo. Per questo motivo Thom sfruttò al
meglio la propria velocità colpendo con calci, ginocchiate e gomitate,
eseguite con potenza selvaggia, scagliando tibie, ginocchia e gomiti
duri come il ferro contro i punti vitali degli avversari. Il tradizionale
pantalone corto tailandese, stile perizoma, agevolava i suoi spostamenti
e le sue agili azioni, permettendogli di non cadere preda degli attacchi
dei lottatori birmani. Sia come sia, la leggenda narra che, una volta
sconfitti tutti gli avversari mandatigli contro, fu lo stesso Re Mangra
che decise di concedere la libertà all’eroe thai e a tutti
i suoi commilitoni, fatti progionieri con lui. Si dice che il Re osservò ammirato
l’incredibile prova portata a termine del lottatore siamese ed
arrivò ad affermare che “ogni parte del corpo dei thai è velenosa,
anche senza armi riescono ad avere la meglio sui nemici”.
L’effetto positivo dell’exploit di Nai Khanom Thom, oltre
a quello immediato dell’ottenimento della sua libertà, fu
addirittura di ridare fiducia allo stesso popolo tailandese, sconfitto
ma mai domo.
Da allora la figura di questo grande eroe è il simbolo stesso
dello spirito indomabile dell’Arte Marziale thai: il vero artista
marziale è colui il quale antepone il senso dell’onore perfino
al proprio interesse personale, anche se questo lo espone a grandi sacrifici.
La patria, la propria Arte Marziale, la scuola dove è stato addestrato,
il proprio Maestro e la comunità dei colleghi praticanti: questi
sono i valori per i quali combatteva Nai Khanom Thom ed è per
questo che la sua figura è ancora attuale e degna del più grande
rispetto.
Da secoli il 17 Marzo è il suo giorno e, in Tailandia come nel
resto del mondo, i veri thai boxers lo onorano, oggi come allora.