Heavy Bag training for Muay Thai
and Kick Boxing
Di Marco De Cesaris
“Il sacco pesante
va colpito con tutta la potenza che avete: non fatelo oscillare ma
tentate di spaccarlo, solo così avrete un colpo da KO nelle
lotte da strada!”
Jack Dempsey –Campione del Mondo
dei Pesi Massimi
Il sacco è stato per moltissimi artisti marziali ed atleti di
ogni livello il “primo amore”, sportivamente parlando. I
più grandi maestri e campioni hanno mosso i loro primi passi nella
disciplina marziale da loro scelta colpendo più o meno correttamente
un sacco pesante, magari appeso nel garage di casa, in un sottoscala,
penzolante da un albero o fissato al muro in maniera artigianale. E come
ogni “primo amore”, anche il protagonista del nostro articolo è per
tutti i praticanti impossibile da dimenticare. Anche dopo anni di pratica
e dopo aver raggiunto un ottimo livello di conoscenza tecnica e di preparazione
ogni marzialista che si rispetti non può eliminare dal proprio
programma di allenamento una o più sessioni settimanali di esercizi
al sacco. Come dovrebbe essere noto a tutti i praticanti esperti infatti,
l’apprendimento nelle discipline marziali è un processo
a spirale in cui, pur ampliando il proprio spettro di tecniche conosciute
nel corso degli anni, è vitale tornare continuamente e con regolarità alla
pratica degli esercizi di base della propria disciplina, i cosiddetti
fondamentali. Il sacco è il vero laboratorio di studio e di pratica
dove l’artista marziale e l’atleta di qualsiasi livello si
ritrova solo con se stesso di fronte alle proprie lacune che, attraverso
un lavoro meticoloso di prove ed errori, si sforza di colmare. Mentre
ci si allena al sacco, secondo una delle numerose modalità che
andremo ad esporre, il corpo e la mente possono effettivamente lavorare
in libertà, senza la paura di sbagliare eseguendo un certo movimento
in maniera erronea di fronte ad un osservatore attento e critico, come
un maestro: il momento della supervisione da parte di un esperto è fondamentale
e deve sempre rappresentare la fase più importante dell’allenamento
tecnico ma ciononostante il piacere di colpire con tutte le proprie forze
un “partner” instancabile ed inattaccabile da dolore e paura
spesso si rivela un vero toccasana per i nostri momenti di difficoltà.
In Oriente e in Occidente.
Ovviamente, essendo un attrezzo studiato per addestrarsi al combattimento,
il sacco va rispettato ed utilizzato seguendo schemi di lavoro specifici
frutto di secoli di esperimenti effettuati dai praticanti delle più svariate
arti marziali dei cinque continenti. In discipline come la Muay Thai
in Oriente e la Kick Boxing o il Pugilato in Occidente il lavoro al sacco è stato
affinato a livelli eccezionali proprio per il valore che viene dato a
tale pratica dagli adepti di questi sport da combattimento: nei campi
tailandesi come nelle palestre europee ed americane si suole dire che
un combattente non avrà mai la potenza necessaria a mettere fuori
combattimento un avversario se non spende una buona parte del proprio
allenamento giornaliero colpendo il sacco con convinzione e “cattiveria”.
Fondamentalmente gli esercizi che consigliamo sono tratti da quanto viene
fatto dai thai boxers e kick boxers in tutto il mondo e, sul loro esempio
si può strutturare un ottimo allenamento di base che fornisca
a qualsiasi praticante le doti di potenza, condizionamento, resistenza
ed abilità tecnica nei colpi e negli spostamenti, necessaria a
formare un combattente professionista.
I primi passi.
Come primo passo è necessario attrezzarsi con sacchi riempiti
di ritagli di pelle o scarti di copertoni tagliati a pezzetti misti a
stracci, eventualmente con un interno di sabbia contenuta in un involucro
resistente; un sacco interamente in sabbia è da ritenersi adatto
solo ad esercizi di condizionamento ed è riservato a praticanti
molto esperti. Il peso e le dimensioni degli attrezzi utilizzati possono
variare ma fondamentalmente le tipologie rientrano in due categorie:
sacchi mobili (agganciati ad un sostegno o al soffitto e quindi oscillanti)
e sacchi fissi (cioè fissati ad una parete). La nostra analisi
si concentra sulla prima tipologia e, tra i sacchi mobili consideriamo
la misura corta (tipica del pugilato) e quella lunga o banana bag (utilizzata
soprattutto nella Kick giapponese). Il passo successivo è proteggersi
le fragili ossa delle mani (rispetto alle strutturalmente più resistenti
tibie, ai gomiti e alle ginocchia) con bendaggi appositi e proteggersi
con guanti leggeri che eviteranno, soprattutto se il lavoro viene effettuato
giornalmente, di procurarsi fastidiose abrasioni e di indolenzire in
maniera eccessiva le zone di contatto del pugno. Solo in un secondo momento
sarà possibile in alcune sessioni speciali eliminare i bendaggi
prima ed i guantoni poi per concentrarsi su allenamenti di condizionamento
delle mani.
La preparazione.
Prima di iniziare la pratica dei colpi al sacco è sempre necessario
preparare allo sforzo intenso muscoli, tendini ed articolazioni con una
serie di esercizi di allungamento (noi consigliamo le posture dello Yoga)
e con alcuni rounds di boxe con l’ombra (shadow boxing) in cui
eseguiamo, con l’ausilio di piccoli pesi (massimo da 1 kg) spostamenti,
movimenti difensivi, pugni, calci, gomitate e ginocchiate a vuoto, così come
li eseguiremo poi sul nostro attrezzo.
[Nota: La nostra trattazione si sofferma sull’uso del sacco come
strumento sul cui allenare percussioni eseguite con le varie parti del
corpo, seppure in alcuni casi abbinate a prese di lotta in piedi. Esiste
un sistema di utilizzo del sacco detto da lottatore, che noi non consideriamo
in questa sede, in cui sacchi pesanti cilindrici o a forma di manichino
vengono afferrati e proiettati a terra o, in alcuni esercizi particolari,
bloccati a terra e colpiti o strangolati, simulando situazioni di ground
fighting].
L’allenamento tecnico.
Una volta adeguatamente preparati e, se possibile, dopo essersi fatti
massaggiare con unguenti appositi (nella Muay Thai si utilizza generalmente
un olio apposito detto Nam Man Muay), siamo pronti alla fase del lavoro
tecnico vero e proprio che, schematizzando al massimo, può essere
ricondotto a 5 categorie generali:
- esercizi di fitness per il combattimento,
- esercizi per la correttezza tecnica,
- esercizi per la scioltezza e rapidità,
- esercizi di potenza,
- esercizi sulle situazioni di combattimento.
In ogni sessione di allenamento ci si può concentrare su una sola
tipologia tra le cinque elencate oppure, in base alle proprie esigenze,
leggi agonismo, difesa personale o fitness, combinare due o più tipi
lavorando contemporaneamente su diversi attributi tecnico/fisici.
1. Prima tipologia di allenamento.
In particolare, volendo sfruttare l’attrezzo per ottenere un buon
livello di resistenza cardiovascolare o per condizionare le varie parti
del corpo all’impatto dei colpi, in particolare le tibie, le ginocchia,
i gomiti, i piedi, le mani e gli avambracci, ci concentreremo su esercizi
appartenenti alla prima categoria, detta in inglese Fit to Fight. Le
routine secondo le quali possiamo eseguire gli allenamenti sono ovviamente
moltissime e, in massima parte dettate dalle esigenze specifiche del
praticante (agonista o amatore) e, nel caso di un atleta, dalla durata
del combattimento per cui ci si sta preparando.
2. Seconda tipologia.
Se invece intendiamo lavorare su una nostra lacuna tecnica particolare
legata all’esecuzione di un dato colpo (che sia un pugno, un calcio,
una ginocchiata o una gomitata) o se vogliamo migliorare un abbinamento
spostamento-colpo, o vogliamo perfezionare una serie o una combinazione
di colpi (nel primo caso consideriamo un concatenamento di percussioni
eseguite con la stessa arma, es. pugno pugno, mentre nel secondo un abbinamento
di colpi eseguiti con armi diverse, es. pugno calcio), il nostro allenamento
verterà in massima parte su esercizi della seconda categoria.
In tali esercizi è buona norma abituarsi ad utilizzare l’arma
corretta alla distanza appropriata, variando le distanze con appropriati
spostamenti: ad esempio per passare dalla distanza media del pugilato
alla distanza corta dove lavorare le prese dello standing grappling ed
i colpi di gomito e ginocchio, sarà fondamentale automatizzare
gli avanzamenti veloci che nella Muay Thai sono conosciuti come Ian Seub
e le tecniche di entrata ed uscita dal corpo al corpo.
3. Terza tipologia.
Nella terza tipologia di esercizi ci sforzeremo di eseguire colpi in
scioltezza e rapidità, combinando le armi utilizzate (pugno, calcio,
gomitata, ginocchiata), le altezze a cui colpiamo (attacco basso, medio
e alto) e le modalità di esecuzione (footwork complesso, cambi
guardia, salti, rotazioni). In questo tipo di drills sono bandite le
situazioni statiche, il movimento delle gambe, del tronco e del capo
deve essere continuo e le rotazioni di anche e spalle diventano più sincopate
al fine di moltiplicare gli attacchi portati nell’unità di
tempo.
4. Quarta tipologia.
La quarta tipologia è mirata essenzialmente a sviluppare potenza
esplosiva nei colpi ed in questo caso in particolare, spesso si consiglia
di utilizzare un sacco fisso o, in mancanza, di far tenere fermo il sacco
da un partner di allenamento. E’ importante in questa fase immaginare
di voler attraversare il sacco con i nostri colpi più potenti,
non limitarsi a toccarlo sulla superficie ma tagliarlo letteralmente
in due. In questo tipo di esercizio i colpi vengono portati con movimenti
esplosivi eseguendo azioni singole, ripetute alle volte per un intero
round. A questo proposito, è procedura normale effettuare sessioni
di allenamento al sacco seguendo la tempistica degli sport da ring ed
in particolare del pugilato: lavoro per tre minuti, riposo per un minuto.
Nella Muay Thai è invece normale seguire dei tempi diversi, basati
su un aumento del tempo di lavoro rispetto al combattimento (4 minuti
invece di tre) ed una diminuzione del recupero (1 minuto invece di 2).
Seguire uno di questi schemi per gli allenamenti è sicuramente
un buon punto di partenza ma, se la nostra finalità è quella
ad esempio di simulare situazioni di scontro reale, breve e furioso, è preferibile
alternare a sessioni in cui si segue il timing pugilistico, altre in
cui il tempo di lavoro non è prefissato, ma il momento dello stop
temporaneo è dato dal raggiunto livello di sfinimento: dopo aver
effettuato un breve recupero (circa 10 secondi), ci sforzeremo di ripartire
con la stessa intensità del primo assalto, e così di seguito
per 3 , 4 o anche 5 ripetizioni.
5. Quinta tipologia.
L’ultimo tipo di esercizi riguarda le situazioni di combattimento
e varia a seconda della disciplina praticata, del livello tecnico raggiunto
e, nuovamente, della finalità dell’addestramento. In questa
fase si combinano i drills precedenti, abbinando spostamenti a movimenti
difensivi (blocchi, schivate ecc.), finte ad attacchi combinati, difese
a contrattacchi portati con le varie armi dal corpo (includendo, anche
se in maniera controllata rispetto agli altri tipi di attacchi, anche
i colpi con la testa, alla cortissima distanza). E’ in questa fase,
più che in ogni altra, che il sacco deve diventare vivo e, grazie
ad un processo di visualizzazione, deve trasformarsi ai nostri occhi
in un vero e proprio avversario del quale dobbiamo evitare i pericolosi
attacchi per poi colpire a nostra volta con tutta la forza di cui disponiamo.
Un grande compagno di allenamento.
Molti sono gli strumenti di allenamento studiati dai maestri di arti
marziali per forgiare il corpo e lo spirito dei praticanti e renderli
delle armi viventi: ma forse solo il sacco è un attrezzo universale
che ha attraversato il tempo e le culture imponendosi fin dall’antichità come
indispensabile ausilio del vero marzialista. Esso è il mio “personal
trainer” da trent’anni e spero continuerà ad esserlo
ancora a lungo ed è per questo che ne consiglio vivamente l’uso
a tutti coloro i quali vogliano eccellere nella Arte di Lotta da loro
scelta